martedì 28 gennaio 2014

“E ora perchè piange?!”

fonte:http://www.nanna.blogmamma.it/
Appena nato il bambino piange, è il suo grido di vita, ma poi la domanda sorge spontanea: “E adesso perchè piange?!”.
Purtroppo i bambini non nascono insieme al loro libretto delle istruzioni e questo spesso li rende mondi sconosciuti a cui spesso non siamo preparati, abituati all'edulcorazione che la nostra società ci propina sulla maternità e l'infanzia, da arrivare al momento di diventare genitori con una visione distorta della realtà ci ci troviamo a vivere! Spesso se dei genitori si trovano a vivere in un isolamento sociale questo evento sono portati a pensare  che questo succede solo a loro, mentre se potessero confrontarsi con altre persone che vivono la medesima situazione le cose cambierebbero molto e riuscirebbero a alleggerire il loro fardello, che il pianto inconsolabile di un bambino riesce a creare!
Per capire meglio il pianto e decifrare un linguaggio sconosciuto è fondamentale differenziare alcuni elementi: l'età del bambino e le condizioni di salute.
Talvolta mi capita di sentire parenti di neonati di pochi mesi che dicono alla povera neo mamma che “se prende in braccio il suo bambino tutte le volte che piange lo vizzierà!”...ma è importante sapere che nei primi mesi di vita del bambino egli non ha ancora una percezione di sè come persona distinta dagli altri, quindi non può fare i capricci! Se piange c'è sempre una ragione, il difficile è capire che cosa vuole.
Purtroppo la cosa difficile è che non esiste una risposta univoca a questa domanda, nè una soluzione universale, per questo fondamentale è l'empatia che una mamma o papà può riuscire a stabilire con il suo bambino, fondamentale per capire che cosa sta chiedendo...
Paradossalmente, a mio avviso non occorre un intervento immediato, ma può essere più utile mettersi in osservazione del bambino (cosa sta facendo, si irrigidisce, ha una forte agitazione psicomotoria...) e soprattutto che tipo di pianto è (ritmico, stizzoso, arrabbiato...). Solo riuscendo a decodificare questo linguaggio senza parole ma universale si avrà maggiori possibilità di rispondere ai reali bisogni dei bambini.
Inoltre, ricordiamo che se pur I bambini non parlano (e anche quando parlano) non riescono a comprendere il nostro linguaggio verbale, ma sono molto competenti a riconoscere il linguaggio non verbale (il tono della voce, la postura...) e anche la coerenza del nostro comportamento rispondendo a quello che vedono e capiscono. Quindi non illudiamoci di porter loro nascondere il nostro vissuto: se il loro pianto che sta facendo arrabbiare perchè sono le 4 di notte e lui non ne vuole sapere di dormire, lo capirà e magari reagirà con rabbia anche lui. I bambini si adeguano ai comportamenti materni, li interiorizzano e li fanno propri.
Infine, vorrei sottolineare come ogni mamma ha il suo linguaggio affettivo che nasce dal passato (quello che ha sperimentato con piacere nella sua infanzia oppure che gli è stato negato) e dal suo futuro (le credenze sull'educazione, le aspettative sul bambino “buono”).
C'è la mamma “nutritiva”che tenderà a calmare il bambino con qualcosa di caldo, offrendo cibo; c'è la mamma “termica” che copre fino agli occhi il bambino  e quella “motoria” che  cerca di calmarlo camminando per tutta la casa e cullandolo al ritmo del suo passo.
E' curioso notare  come le prime risposte materne tendano a conformare i modi con i quali il bambino, più tardi, cercerà di gestire le frustrazioni.
Non esiste un metodo che funziona meglio di un altro, sicuramente ogni mamma ha il suo e non le si può imporre un'altra modalità e funzionerebbe meglio se ci fosse la convergenza di più linguaggi: se la mamma accompagna I suoi atti con parole dolci, vezzeggiativi, espressioni ripetute, perchè la parola carica di affetto può essere un farmaco molto potente.


fonte: mamma.pourfemme.it


Per approfondire: Vegetti Finzi S., Battistin A. (2010) A piccoli passi, Oscar Mondadori, Milano

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