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Appena nato il bambino piange, è il suo
grido di vita, ma poi la domanda sorge spontanea: “E adesso perchè piange?!”.
Purtroppo i bambini non nascono insieme al
loro libretto delle istruzioni e questo spesso li rende mondi sconosciuti a cui
spesso non siamo preparati, abituati all'edulcorazione che la nostra società ci
propina sulla maternità e l'infanzia, da arrivare al momento di diventare
genitori con una visione distorta della realtà ci ci troviamo a vivere! Spesso
se dei genitori si trovano a vivere in un isolamento sociale questo evento sono
portati a pensare che questo succede
solo a loro, mentre se potessero confrontarsi con altre persone che vivono la
medesima situazione le cose cambierebbero molto e riuscirebbero a alleggerire
il loro fardello, che il pianto inconsolabile di un bambino riesce a creare!
Per capire meglio il pianto e decifrare un
linguaggio sconosciuto è fondamentale differenziare alcuni elementi: l'età del
bambino e le condizioni di salute.
Talvolta mi capita di sentire parenti di
neonati di pochi mesi che dicono alla povera neo mamma che “se prende in
braccio il suo bambino tutte le volte che piange lo vizzierà!”...ma è
importante sapere che nei primi mesi di vita del bambino egli non ha ancora una
percezione di sè come persona distinta dagli altri, quindi non può fare i
capricci! Se piange c'è sempre una ragione, il difficile è capire che cosa
vuole.
Purtroppo la cosa difficile è che non
esiste una risposta univoca a questa domanda, nè una soluzione universale, per
questo fondamentale è l'empatia che una mamma o papà può riuscire a stabilire
con il suo bambino, fondamentale per capire che cosa sta chiedendo...
Paradossalmente, a mio avviso non occorre
un intervento immediato, ma può essere più utile mettersi in osservazione del
bambino (cosa sta facendo, si irrigidisce, ha una forte agitazione
psicomotoria...) e soprattutto che tipo di pianto è (ritmico, stizzoso,
arrabbiato...). Solo riuscendo a decodificare questo linguaggio senza parole ma
universale si avrà maggiori possibilità di rispondere ai reali bisogni dei
bambini.
Inoltre, ricordiamo che se pur I bambini
non parlano (e anche quando parlano) non riescono a comprendere il nostro
linguaggio verbale, ma sono molto competenti a riconoscere il linguaggio non
verbale (il tono della voce, la postura...) e anche la coerenza del nostro
comportamento rispondendo a quello che vedono e capiscono. Quindi non
illudiamoci di porter loro nascondere il nostro vissuto: se il loro pianto che
sta facendo arrabbiare perchè sono le 4 di notte e lui non ne vuole sapere di
dormire, lo capirà e magari reagirà con rabbia anche lui. I bambini si adeguano
ai comportamenti materni, li interiorizzano e li fanno propri.
Infine, vorrei sottolineare come ogni mamma
ha il suo linguaggio affettivo che nasce dal passato (quello che ha
sperimentato con piacere nella sua infanzia oppure che gli è stato negato) e
dal suo futuro (le credenze sull'educazione, le aspettative sul bambino
“buono”).
C'è la mamma “nutritiva”che tenderà a
calmare il bambino con qualcosa di caldo, offrendo cibo; c'è la mamma “termica”
che copre fino agli occhi il bambino e
quella “motoria” che cerca di calmarlo
camminando per tutta la casa e cullandolo al ritmo del suo passo.
E' curioso notare come le prime risposte materne tendano a conformare i modi con i
quali il bambino, più tardi, cercerà di gestire le frustrazioni.
Non esiste un metodo che funziona meglio di
un altro, sicuramente ogni mamma ha il suo e non le si può imporre un'altra
modalità e funzionerebbe meglio se ci fosse la convergenza di più linguaggi: se
la mamma accompagna I suoi atti con parole dolci, vezzeggiativi, espressioni
ripetute, perchè la parola carica di affetto può essere un farmaco molto
potente.
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